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Subject: "Giornalismo", il meglio di...

2024-05-08 13:39:39


Dici sto coglione vagamente di parte?
2024-05-08 17:01:01
Esatto, il classico "utile idiota" da mandare a fare il menestrello. Il parenzismo giornalistico, è gente che crede davvero alla propaganda e ci mette tutta se' stessa per propugnarla.

Su twitter poi è uno spasso, insulta tutti, fa il Rambetto della situazione come fosse un troll 16enne.
2024-05-08 17:22:34
L'avevo già bloccato, ma non sapevo fosse tale fenomeno.
2024-05-08 18:00:30
La mia domanda è: cosa ti/vi spinge a seguire questi soggetti? A prescindere dallo "schieramento" su qualsiasi tema.... non bastano i cari vecchi giornali? Anche online se non ti piacciono cartacei :-)
2024-05-08 18:15:21
Mai seguiti, semplicemente le loro gesta diventano ciclicamente virali e non è possibile non esserne informati ;)
2024-05-19 21:58:44
2024-05-19 22:04:17
un modo per ceracare di rendere simpatico Hitler?
2024-05-19 22:11:11
Un modo per dire che è tutta colpa dei fasssisti

Tutti i comunistoni che spacciano fuori dalle scuole tuttappost
2024-05-20 01:13:36
Forse ha parenti ucronazi, quindi vuol dire che è un eroe! perche l'hanno arrestato?!?!
2024-05-24 00:56:22
2024-05-24 07:10:32
Che non volesse ascoltare Gentiloni è comprensibile...
2024-05-25 14:16:02
Sottoscrivo ogni parola.


Gli studenti non leggono più quello che scriviamo
Wolfgang Munchau
13-17 minuti

Per la prima volta nella mia carriera di giornalista, osservo che gli organi di informazione tradizionali e gli studenti sono schierati su versanti opposti nel grande scontro sulla politica estera. Il motivo per cui gli studenti universitari, in ogni angolo dell’Occidente, hanno preso le difese dei palestinesi nella guerra di Gaza, è frutto in larga misura di quello che leggono e guardano. Attenzione però a non ridurre questo fenomeno all’universo delle reti sociali. I giovani abitano un universo mediatico diverso dal nostro, popolato da altri personaggi rispetto ai vettori tradizionali dell’informazione, ma è un universo molto più vivace e intraprendente. Inoltre, col tempo si è trasformato in un ambito più maturo e stabile sotto il profilo commerciale.

Sono troppo giovane per ricordare le proteste studentesche degli ultimi anni Sessanta, ma so benissimo che le notizie diffuse dalla stampa sulla guerra del Vietnam rappresentavano un’importante fonte di informazione per i contestatori. Nella Germania dell’Ovest, sul finire degli anni Settanta, l’oggetto della rabbia che infiammava gli studenti era il sostegno degli Stati Uniti alle dittature sudamericane. Anche quella nasceva dai resoconti che si leggevano sui giornali. La stampa è stata la principale fonte di educazione geopolitica della mia generazione, e non è un caso che molti attivisti, tra gli studenti di quel periodo, siano poi diventati giornalisti di professione. Il giornalismo rappresentava un’altra modalità del movimento di protesta. Gli autori che leggevo al tempo erano John Pilger e Phillip Knightley. Il libro di quest’ultimo, La prima vittima, mi ha aperto gli occhi su come i governi usano i giornalisti per la loro propaganda di guerra.
I governi attuali cominciano a scoprire di non essere più in grado di controllare la narrativa, proprio perché non capiscono a fondo e non riescono a gestire la nuova sfera mediatica.

In passato, i media tradizionali non appoggiavano necessariamente le contestazioni giovanili, ma non vi si opponevano nemmeno in modo organico. Forse perché allora, a differenza di oggi, gli studenti universitari erano avidi lettori di libri e giornali.

In questo momento, in Germania si assiste a una vera caccia alle streghe contro chiunque osi esternare la benché minima critica contro il sostegno incondizionato del governo tedesco a Israele. A Berlino, un gruppo di oltre trecento professori di varie università hanno firmato una lettera in difesa del diritto democratico dei loro studenti alla libertà di espressione. “Davanti all’annuncio di nuovi bombardamenti su Rafah e il peggiorare della crisi umanitaria a Gaza, le forti preoccupazioni dei manifestanti dovrebbero risultare comprensibili anche a coloro che non ne condividono le richieste specifiche, o non considerano opportune le loro forme di protesta,” si legge.

Bild, il tabloid più diffuso in Germania, li ha scherniti, raffigurandoli come agitatori che odiano Israele, e quasi tutti gli articoli pubblicati nei restanti media tedeschi riportano la reazione inorridita di un ministro del governo, sebbene tra i firmatari della lettera ci sia un illustre storico dell’antisemitismo in Germania, il quale si è visto egli stesso tacciare di antisemita.

Non credo proprio che i vecchi media risulteranno vincitori in questa contesa, proprio perché hanno bisogno dei giovani, più di quanto i giovani abbiano bisogno di loro. È assai improbabile, a mio parere, che l’attuale generazione di giovani si dedicherà alla lettura dei quotidiani, come hanno fatto i loro predecessori.

Mi è balzato all’occhio l’abisso che divide le due posizioni durante una conversazione con mio figlio maggiore a proposito di parzialità. Solo dopo una decina di minuti di dibattito mi sono accorto che lui pensava alle piattaforme mediatiche. La sua generazione li chiama media e basta, senza ulteriori specificazioni. Quando si riferiscono ai giornali, quasi mai in verità, li definiscono media storici. Ne deduco che non siamo solo vecchi, ma già defunti.

Ho chiesto a un gruppetto di matricole in un’università inglese se qualcuno di loro leggesse i giornali o guardasse i notiziari televisivi, e nessuno ha alzato la mano. Eppure, erano tutti al corrente su quel che accade nel mondo. Sarebbe uno sbaglio grossolano pensare che i giovani non siano informati solo perché non leggono i quotidiani e non guardano i telegiornali, ma è uno sbaglio ancor più grave pensare che un giorno lo faranno.

I social offrono loro un tipo di accesso diverso non solo alle notizie, ma anche a una gamma non omologata di informazioni. Basta andare su X, il vecchio Twitter, e cercare Gaza. Vi troverete tutte le immagini, senza filtri, che non vedrete mai nei media tradizionali. C’è un buon motivo se le reti televisive offuscano le facce delle vittime, ma questo crea una distanza emotiva. Se sei un giovane e ti capitano sotto gli occhi per la prima volta le riprese dirette di bambini colpiti dalle bombe, l’effetto sarà devastante.
L’universo mediatico abitato dai giovani non solo è diverso dal nostro, ma non è nemmeno lo stesso di cinque anni fa. La caratteristica dei media liberi non è la libertà di dire quello che ti pare, ma di farlo in modo professionale. Il giornalismo non è un hobby, e questo è vero anche per le forme alternative di giornalismo che col tempo sono diventate più mature.

L’universo controcorrente delle informazioni è popolato dagli imprenditori del giornalismo, che operano con una varietà di nuovi format – dai podcast alle interviste, dalle dirette video ai documentari. Ciò che li accomuna è la produzione di contenuti ai quali ben di rado hanno accesso gli spettatori televisivi e i lettori dei giornali. Non sono in grado di fornire una lista delle fonti a cui attingono i manifestanti, vedo però in atto una chiara tendenza: i giornalisti tradizionali stanno lasciando le loro agenzie di stampa per fondare le proprie. Un esempio recente è Mehdi Hasan, un giornalista televisivo che ha lanciato il proprio sito web, Zeteo, quando il suo programma serale è stato tagliato dal canale MSNBC. Oggi Hasan presenta una prospettiva sul conflitto in Medio Oriente molto diversa da quella precedentemente diffusa sul canale televisivo. Sotto il mantello dell’oggettività dei media tradizionali spesso si celano pregiudizi e distorsioni, mentre Zeteo e le altre startup delle informazioni si presentano come spudoratamente di parte. Se siete abituati ai presentatori dei telegiornali, è facile che troverete questi contenuti crudi e scandalosi, ma è proprio questo che attira le nuove generazioni.

La tecnologia, naturalmente, svolge un ruolo determinante e alcuni dei nuovi giornalisti politici provengono da questo ambito. L’interesse dei media convenzionali per la tecnologia, invece, si limita di solito alle recensioni degli ultimi gadget sul mercato, oppure alle critiche mosse all’intelligenza artificiale.

Tra le grandi star del settore tecno-politico ricordiamo Lex Fridman, informatico, giornalista tech e intervistatore instancabile di politici e imprenditori in campo tecnologico. Con un immenso seguito su YouTube, pari a quasi quattro milioni di follower, Fridman ha lanciato un nuovo stile di intervista, che non trova paragoni tra i programmi diffusi dai media tradizionali: il ritmo è lento e le interviste si protraggono talvolta fino a due ore e mezza. Difficile trovare qualcosa di simile sulla BBC.

La tecnologia stessa si sta trasformando, sempre di più, in un importante strumento giornalistico. Sono rimasto colpito, di recente, quando ho saputo che un giornalista investigativo di Bellingcat, un collettivo di reporter indipendenti, è riuscito a rintracciare un terrorista tedesco, da trent’anni sulla lista dei ricercati, attraverso il software di riconoscimento facciale.

Bellingcat è un’altra piattaforma moderna dell’informazione, a cavallo tra media convenzionali e controcorrente. Il suo successo più clamoroso è stato nel 2020, quando ha accusato la Russia di aver tentato di avvelenare Alexei Navalny con il gas nervino Novichok. Ma se Bellingcat è implacabile con la Russia, lo è altrettanto con Israele. Questa settimana, in prima pagina troviamo la denuncia dei soprusi compiuti dall’esercito israeliano, la cui arma preferita sono i bombardamenti, secondo quanto affermato da un militare. Un’altra storia riguarda la crisi umanitaria a Gaza. Pur non appartenendo ai media tradizionali, Bellingcat è una piattaforma altamente professionale.

Sebbene i media tradizionali dispongano di maggiori risorse, la loro influenza è in declino. Quando le vendite della carta stampata cominciarono a scendere nel primo decennio del nostro secolo, le visite online inizialmente compensarono il calo. I giornali erano spesso derisi come macchine per stampare soldi. Difatti l’industria gestiva un doppio oligopolio, il mercato dei lettori e quello della pubblicità. Entrambi potevano liberamente scegliere tra una decina di testate in concorrenza tra loro, ma al di fuori di questo cartello non esisteva nulla. Il cartello è stato costretto a cedere il passo a un’industria competitiva, senza troppi paletti d’ingresso.

Ma oggi è in calo anche l’utenza dei quotidiani online. I sondaggi del Pew Research Centre di Washington rivelano che tra il primo trimestre del 2021 e del 2022 il numero medio di accessi ai siti web delle prime cinquanta testate americane è calato del 20 percento, da undici a nove milioni. Le vendite della carta stampata nel frattempo si sono ridotte di due terzi, rispetto agli anni Ottanta.

L’analisi sulle notizie digitali del 2023, pubblicata dall’istituto Reuters dell’università di Oxford, conteneva un paio di osservazioni sorprendenti sul divorzio tra giovani utenti e vecchi organi d’informazione. Nel 2015, il tasso di accessi diretti ai siti web dei quotidiani superava di poco il 50 percento, per tutte le fasce di età. Alla fine dello scorso anno, quel rapporto è sceso al 24 percento per i giovani dai 18 ai 24 anni, mentre è rimasto invariato per gli adulti.

Altra tendenza importante è la scelta di cosa evitare. Tra coloro che si dichiarano “evitatori” selettivi di informazioni, tra gli argomenti più evitati in assoluto l’anno scorso, nel Regno Unito, troviamo l’Ucraina. L’analisi riferisce: “È impressionante constatare l’ambivalenza, e forse la stanchezza, che regna in tutte le reti per quel che riguarda la guerra in Ucraina. Malgrado l’importanza dell’argomento, si rilevano livelli più bassi di attenzione per la guerra in corso rispetto alle curiosità divertenti, ai temi di politica nazionale, e persino alle notizie di affari economici.”

Altro particolare inatteso: la scelta consapevole di evitare le notizie sull’Ucraina si manifesta più di frequente nei paesi vicini al conflitto. Questo ci rivela che lo scollamento tra le preoccupazioni della politica e i giovani è altrettanto diffuso in Europa orientale quanto in Occidente.

Anche per il governo Biden è sempre più difficile trovare il sostegno politico necessario alla sua politica estera presso una giovane generazione che è in grado di apprendere, seduta stante, quel che accade dopo un bombardamento israeliano. E quando la notizia del giorno è l’immagine di un bambino che muore in diretta, oppure la relazione di un funzionario americano che fatica a spiegare la politica del presidente su Israele, si capisce subito dove sta la differenza. L’ufficio stampa della Casa Bianca e di altri governi occidentali si rivolge ai media tradizionali, che non riescono più a raggiungere una fascia cruciale dell’elettorato.

Noi che lavoriamo per i media tradizionali possiamo benissimo esprimere il nostro sdegno per le proteste alla Columbia University, o per le lettere scritte dai professori universatari a sostegno dei loro studenti. Possiamo anche prendere in giro gli studenti oppure, peggio ancora, offrire loro la nostra simpatia ipocrita. Quasi certamente gli studenti non ascoltano neppure quello che andiamo dicendo, perché stiamo parlando con noi stessi.
2024-05-25 14:51:21
Sei il SMM e devi scrivere correttamente *un* nome...

2024-05-29 11:52:03
2024-05-29 12:31:37
Mamma mia che strazio.
2024-06-05 19:37:19