Azərbaycan dili Bahasa Indonesia Bosanski Català Čeština Dansk Deutsch Eesti English Español Français Galego Hrvatski Italiano Latviešu Lietuvių Magyar Malti Mакедонски Nederlands Norsk Polski Português Português BR Românã Slovenčina Srpski Suomi Svenska Tiếng Việt Türkçe Ελληνικά Български Русский Українська Հայերեն ქართული ენა 中文
Subpage under development, new version coming soon!

Subject: Libertà d’opinione o di stampa...

2021-01-15 18:21:12
. Io credo che – fatte le ovvie e dovute proporzioni – questo sia lo scenario in cui dobbiamo disporci a vivere rispetto al servizio dell’informazione: imparare a cavarcela, muovendoci con diffidenza e sapendo che dovremo arrangiarci, se vogliamo capire cosa sia vero e cosa sia falso in un mondo in cui c’è un sacco di falso, ben stampato. Divertente.


Verissimo ma torno sul mio concetto iniziale, la preparazione di chi legge e di chi dovrebbe scrivere. Quando gli articoli sono scritto da peracottari via web che fungono da comunicatori avrai lettori che vivono di comunicazione non di informazione
2021-01-17 23:04:46
Byoblu sostiene che:
Youtube ha bloccato un'emittente regolarmente registrata come testata in tribunale, con un direttore responsabile, concessioni ministeriali e la supervisione dell'Agcom. Quella testata è @Byoblu
. In tanti saranno contenti, ma è questo il mondo che volete?


youtube censura byoblu

immagino che anche questo per alcuni di voi sia accettabile e tutto normale.
(edited)
2021-01-18 13:21:26
Youtube verso la chiusura di Byoblu
Youtube ha limitato l’account di Byoblu: non possiamo pubblicare per una settimana. Perché? Perché nel TG di giovedì scorso abbiamo dato conto di quanto ha scritto sul British Medical Journal l’editorialista di punta Peter Doshi, secondo cui l’efficacia del vaccino sarebbe solo del 19%, massimo 29%. Il Tg del 14 gennaio è stato OSCURATO! Cercatelo pure su Youtube, e vedrete che non c’è più.

Voglio farvi riflettere su una cosa. Siamo una testata giornalistica regolarmente registrata in tribunale. Siamo una televisione che trasmette sul digitale terrestre, con le concessioni governative in regola. Siamo tutelati dalla Costituzione e vi sono organismi istituzionali (nazionali) deputati a vigilare su come viene esercitata la libertà di stampa nel nostro Paese: siamo registrati al ROC e sottoposti all’Agcom. Abbiamo un direttore responsabile che risponde all’Ordine dei Giornalisti oltreché alla legge.

Non accettiamo che nessuno, al di fuori delle istituzioni italiane, attraverso gli organismi preposti, e all’infuori della magistratura che sono i soli organi che riconosciamo, possa sindacare su quanto viene detto dalla nostra redazione nel nostro telegiornale.



Questa parte la trovo interessante

Io, personalmente, faccio ancora molta fatica ad identificare YouTube, Facebook, Google, Netflix etc a strumenti di democrazia.

Per me sono soggetti privati che offrono una piattaforma di servizi
2021-01-18 14:06:09
Non sono un fan di Bioblu (proprio zero) ma una donazione se la meritano anche da me
;)
2021-01-18 17:42:30
intanto attendiamo fiduciosi che twitter e youtube e compagnia sospendano il profilo di Navalny che ha persino scritto:
Temono che la gente scenda in piazza. Perciò dovete farlo. Non per me ma per voi, per il vostro futuro. Quello che è successo qua non ha a che fare con le leggi russe, lo capisce anche quella finta giudice che ora mi manderà agli arresti".

E ancora: "Perché hanno fatto così tutto in fretta? Perché hanno paura di voi, della gente che all'improvviso può capire la sua forza e smettere di obbedire a questa banda di Putin, Sechin e Rotenberg che da 20 anni deruba il Paese facendovi diventare sempre più poveri. Solo noi possiamo mettere una fine. Perciò vi invito a non tacere, a resistere, a scendere in piazza. Siamo così tanti che se vogliamo ottenere qualcosa lo otterremo".


giusto? perchè ha incitato alla rivolta come Trump, no?
fonte
2021-01-18 18:05:05
. Io, personalmente, faccio ancora molta fatica ad identificare YouTube, Facebook, Google, Netflix etc a strumenti di democrazia.

L’unico strumento per la democrazia si chiama voto (libero e segreto ovviamente)
Altri strumenti non servono (o non sono democratici come si pensa) quando hai la possibilità reale di votare
2021-01-18 18:13:27
ma dissento proprio radicalmente.
Il discorso è lungo e complicato, comincia da scegliere cosa intendiamo per democrazia.
2021-01-18 18:38:28
Si sta parlando di strumenti che giocoforza ricadono quasi tutti nell’ambito delle informazioni.

Ripeto il concetto fondamentale: la libertà di stampa e quindi lo sviluppo democratico della stessa, non esiste.
2021-01-18 18:40:18
la libertà di stampa e la stampa libera sono cose diverse.
L'informazione è sempre di parte, concordo, ma da questo non trarrei conclusioni affrettate.
2021-01-19 18:17:17
Navalny continua a scrivere su Twitter le stesse cose che scriveva Trump (in realtà molto peggiori), ma il suo account non è stato ancora chiuso...

"Siamo molti di più. Di Putin e tutti coloro che lo proteggono, rubano per lui, falsificano le elezioni per lui. Siamo decine di milioni. Semplicemente non crediamo nella nostra forza. Se tutti quelli che leggeranno questa inchiesta la diffonderanno, faremo a pezzi la censura. Se il 10% degli insoddisfatti scenderà in piazza, non oseranno falsificare le elezioni. Se ognuno di noi si registra e partecipa al "voto intelligente" , il partito del furto e del degrado di Putin "Russia Unita" perderà le elezioni", recita l'appello. "Tutto quello che dobbiamo fare è smettere di resistere. Smetti di aspettare. Smettila di sprecare la tua vita e le tue tasse per arricchire queste persone. Il nostro futuro è nelle nostre mani. Non essere silenzioso".
2021-01-20 13:43:40
2021-01-20 16:34:17
Mi sembra un articolo di pessima qualità

Ad esempio
Continuando invece ad operare con semplici censure unilaterali ogni dibattito pubblico diviene semplicemente una prova di forza, dove chi la forza ce l’ha già (il denaro, il potere) farà passare ciò che lo favorisce o almeno non lo ostacola.

Trump e' milionario ed è presidente degli USA quindi questa conclusione non è vera


e ancora
Ergo, non è affatto vero che avere la proprietà di qualcosa significa poterne fare quello che ti pare. Posso avere la proprietà privata di un parco, ma questo non significa che posso sparare in testa a chi eventualmente ci entra e seppellirlo sotto i gerani, né che posso farci un deposito di scorie nucleari, né che posso darci fuoco, o farne una palude, ecc.

Nessuno ha sparato a Trump, gli hanno proibito di entrare dal cancello del parco.

Magari se Trump va al Billionaire lo fanno entrare ma se va su Twitter no, io posso andare su Twitter ma non mi fanno entrare al Billionaire.


Anche l'esempio della strada non è corretto perché una strada è un luogo pubblico mentre i social non lo sono
2021-01-20 16:48:47
secondo me non l'hai capito bene, perchè sostieni l'esatto contrario di quello che c'è scritto.
poi si può dissentire sul fatto che i social abbiano il ruolo di "luogo pubblico", ma non puoi dire che non sia corretto l'articolo.
2021-01-22 08:49:47
mi pare interessante

Carlo Blangino Avvocato penalista, affronta nelle aule giudiziarie il diritto delle nuove tecnologie, le questioni di copyright e di data protection. È fellow del NEXA Center for Internet & Society del Politecnico di Torino. @CBlengio su Twitter

Il paradosso dei social – Parte I
Trovo confortante e un segno di buona salute delle nostre società occidentali la vivacità del dibattito sui limiti della libertà di espressione e sul ruolo e sulle responsabilità delle piattaforme di social networking ed in generale sul potere delle Big Tech innescato dal caso Trump.

Dibattito che, notiamolo, avviene proprio su quelle piattaforme spesso additate come nemiche del viver civile, quando non della fine della stessa democrazia. Aggiungo che quello di questi giorni è un dibattito ricco di mille differenti voci e sfumature – con contributi davvero interessanti e stupidaggini spesso altrettanto istruttive – grazie proprio a quegli intermediari digitali della nostra comunicazione, i social network, oggi sul banco degli imputati: sono i loro servizi che hanno reso concreta e vitale la nostra libertà d’espressione.



Questa banalità la sottolineo non per lanciarmi ora in una difesa spassionata di Twitter o di Facebook, ma perché dà un primo segno di quanto la questione sia straordinariamente complessa.

E la complessità deriva credo dalla sovrapposizione di almeno due temi diversi e distinti, singolarmente di difficile gestione, che nella vicenda e nell’attuale dibattito si fondono e si intrecciano generando ulteriore complessità e non poca confusione: da un lato la libertà di espressione ed i suoi limiti – un tema antico che oggettivamente il web ha arricchito di nuove criticità – e dall’altro il ruolo e soprattutto il potere delle società commerciali che concretamente governano le tecnologie digitali – tema questo legato non solo alla circolazione dei contenuti, ma in generale ad ogni settore della nostra quotidianità ormai costantemente connessa ed intrisa di tali tecnologie e che ha a che fare col concetto di “sovranità digitale”.

Provo a dividere i due problemi, anche se nella realtà è impossibile, e data la complessità del tema dedicherò ad ognuno un post, sperando di offrire a chi abbia tempo e voglia almeno un qualche spunto di riflessione per capire qual è la posta in gioco e perché nessuno abbia risposte convincenti su quello che appare un paradosso del web.



Parto dalla libertà di espressione che nella vicenda Trump e nel successivo dibattito è forse la parte più semplice (si fa per dire).
Poiché sul tema si è già detto molto (e forse troppo), mi limito a due considerazioni che ritengo fondamentali:

1) l’incertezza e la magmaticità dei confini del lecito e dell’illecito nella parola e nella comunicazione, on-line come off-line, non è un problema che debba (e sottolineo debba!) trovare soluzione perché quel problema è l’essenza stessa della libertà di espressione.

Mi spiego: il giorno che la linea tra dicibile ed indicibile sarà netta e certa, perché dettata dalla legge o perché determinata da un algoritmo (vedremo poi tra le due qual è la soluzione peggiore), saremo, in entrambi i casi, spacciati: vorrà dire che abbiamo perso la libertà di espressione.

È ciò che accade nei paesi autoritari: lì si sa abbastanza agevolmente ciò che si può e ciò che non si può dire e usualmente si impara celermente, sulla propria pelle, dove sta la linea di confine. In quei paesi immagino il web sia più sicuro e “civile”, ma inevitabilmente tutte le libertà saranno compromesse, perché il legame tra libertà di espressione e tutti gli altri diritti della persona è assai più stretto di ciò che appare.

Qui da noi, nei paesi democratici, capire se una parola o una comunicazione possa o debba esser tacitata, rimossa e sanzionata è e sarà sempre molto complicato ed incerto proprio perché la libertà di espressione è della democrazia elemento essenziale. Solo se si fa pietra e lede specifici diritti ben profilati nella realtà sociale la parola, diventando illecita, può esser dallo Stato vietata, ma capire la lesività in concreto di un contenuto ed individuare con chiarezza i beni giuridici che meritano di esser tutelati nel dichiararla illecita può esser molto complesso: l’errore è frequente e può nasconder abuso e censura.

Bisogna prender atto che l’incertezza è l’essenza stessa della libertà di espressione e questa consapevolezza consentirà anche di evitare insane infatuazioni per soluzioni tecnologiche/automatizzate necessariamente inadeguate e pericolose.

Esistono cinque parametri generici che usualmente provano a fornire una sorta di traccia per valutare il confine tra lecito ed illecito di un contenuto: i) l’autorevolezza dello speaker; ii) la tipologia dell’uditorio; iii) il contesto sociale della comunicazione; iv) il mezzo utilizzato; e v) ovviamente, il contenuto stesso. Applicateli al caso Trump o ai tweet insolenti di un anonimo utente: la vostra valutazione, quanto a margine di errore, varrà quanto quella di Facebook o quella del presidente della Corte Suprema (che poi se è il Presidente della Corte è meglio, soprattutto se siete voi gli imputati).

2) La libertà di espressione, dunque, è un diritto difficile e faticoso, richiede molta tolleranza ed ha confini inevitabilmente incerti, salvo in un punto: è un diritto che non tollera ingerenze da parte delle pubbliche autorità.

Se l’art. 21 della nostra Costituzione si limita a riconoscere il diritto soggettivo alla libera manifestazione del pensiero e poi si perde nella stringente e datata regolamentazione della stampa tipografica (sic!), l’art. 11 della Carta dei Diritti Fondamentali della UE è chiaro sul punto: “Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”.

Nel primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti il concetto è addirittura rovesciato: la libertà di espressione è infatti prevista come ostacolo specifico a qualsiasi intervento legislativo: “Il Congresso non promulgherà leggi … che limitino la libertà di parola, o della stampa”.

Da queste norme costituzionali (a cui può aggiungersi l’art. 10 CEDU) discendono alcuni chiari principi utili credo nel dibattito seguito al caso Twitter/Trump:

lo Stato, la pubblica autorità, non può regolare la circolazione dei contenuti in rete e non può ingerirsi nel governo della parola. Può e deve ovviamente reprimere e perseguire quelle condotte comunicative che ledono concretamente diritti collettivi (ad es. l’ordine pubblico) o diritti della persona (ad es. reputazione e libertà personali varie dei singoli cittadini), ma lì deve fermarsi. Tutto ciò che non è per legge (leggasi per provvedimento democraticamente approvato) definito illegale, per quanto sgradevole, incivile, immorale, sbagliato ed intollerabile per il comune sentire o falso e menzognero, non può esser regolato dallo Stato senza incorrere in una violazione della libertà di espressione;


la libertà di comunicare e ricevere informazioni si applica a “tutti” ivi compresi Twitter, Facebook ed in generale ai providers dei servizi della società dell’informazione.
Per costante interpretazione tale libertà non si riferisce infatti solo al contenuto, ma anche ai mezzi di trasmissione o ricezione e dunque “qualsiasi restrizione imposta a chi gestisce tali mezzi interferisce necessariamente con il diritto di ricevere e trasmettere informazioni” (così la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ad esempio in Öztürk c. Turchia, n. 22479/93, o, proprio in relazione ai provider, in NEIJ c. Sweden no. 40397/12). Poiché la libertà di comunicare informazioni comprende anche quella di non comunicarle, se la rimozione di un contenuto da un social network è determinata da una scelta del gestore della piattaforma, tale scelta è pacificamente protetta dal diritto fondamentale alla libertà di espressione.
Una norma che imponesse a soggetti privati di non rimuovere contenuti o che viceversa imponesse loro di cancellarne altri (al di là dei contenuti riconosciuti illegali) costituirebbe una inammissibile ingerenza dello Stato nella libertà di espressione degli utenti e in quella, identica, degli stessi gestori delle piattaforme di condivisione.
*

Tutte queste considerazioni messe insieme spiegano, credo, alcune cose.

Spiegano perché non è affatto un’eresia o un attacco alla democrazia, anzi l’opposto, il fatto che siano gli stessi intermediari privati della comunicazione, Facebook, Twitter e affini, e non lo Stato, a governare sulle piattaforme social i contenuti che intendono liberamente comunicare.

Prima che clausole contrattuali, i termini di servizio (ToS) che regolano le norme di comportamento su ogni social network, sono il legittimo esercizio della libertà di espressione del provider e la loro corretta gestione e le scelte di rimozione che ne discendono sono l’unico possibile presidio per la salubrità e la civiltà dei loro servizi.

Le medesime considerazioni spiegano ancora perché una rimozione ad opera di una società privata potrà forse rivelarsi contrattualmente illegittima ma non può mai dirsi “censura”, mentre può facilmente esserlo quella delle pubbliche autorità: la prima è legittimo esercizio della libertà di comunicare o non comunicare informazioni, la seconda può esser la violazione di quel medesimo diritto, costituzionalmente garantito, che geneticamente non ammette ingerenze della pubblica autorità, salvo, ripetiamolo, in relazione ai contenuti illeciti, la cui individuazione è però spesso ed inevitabilmente complessa e controversa.

I social network sono e restano meri intermediari della parola e dei contenuti altrui, e nella fisiologica complessità della comunicazione globale (siamo tutti noi, Trump compreso, a riempire di schifezze il web, non dimentichiamocelo), sono solo loro che possono e debbono compiere scelte editoriali a difesa delle piattaforme che utilizziamo. Ma tali scelte non ne fanno degli editori: il campo di gioco, Internet, è inedito e diverso e richiede regole nuove e diverse. Smettiamola di applicare vecchie categorie concettuali: se ne facciano una ragione i media tradizionali.

La clausola c. d. del “Buon Samaritano” contenuta nella mitica Sez. 230 del Communication Decency Act che protegge negli Stati Uniti gli intermediari della comunicazione da responsabilità editoriali per le scelte di moderazione dei contenuti, è credo norma fondamentale per preservare la libertà di espressione di tutti.
È auspicabile che una norma simile sia introdotta anche in Europa come prevede, grazie a Dio, la proposta del Digital Service Act; altro che abrogarla come da alcune parti si richiede.

Per concludere, il fatto che il gestore di una piattaforma possa rimuovere o escludere contenuti ed utenti o gestirli in maniera tra loro differenziata non è l’illegittima appropriazione di un potere che spetta agli Stati o alla magistratura: lo Stato e l’autorità pubblica non hanno alcun potere da delegare ai privati nel governo della circolazione dei contenuti perché in democrazia quel potere non gli appartiene e, anzi, gli è inibito.

Ovviamente la libertà del provider, i suoi diritti ed il conseguente potere, hanno dei limiti, e qui mi fermo, per ora, perché messi questi paletti sul tema “libertà di espressione” è necessario affrontare il secondo problema che emerge prepotente nel dibattito di questi giorni, legato al ruolo assunto dai pochi e potenti intermediari della comunicazione nella nostra quotidianità sempre più dipendente dalla tecnologia, da internet e da algoritmi più o meno evoluti.

E se possibile, manco a dirlo, lì il discorso si complica esponenzialmente…
2021-01-22 09:02:42
beh, non credo sia sorprendente che un avvocato sposi la tesi difensiva delle maggiori aziende americane.
Ovviamente dissento, nel post viene bellamente evitato il tema centrale della questione. Il monopolio di fatto.


edit: aggiungo che in questi post c'è un salto continuo tra due impostazioni: la descrizione delle cause della situazione attuale (compreso il contesto normativo) e la spiegazione di cosa sarebbe desiderabile (che ovviamente deve essere fatta prescindendo dal contesto normativo attuale).
Per capirsi, non è logicamente corretto un discorso che vuole indicare una soluzione come preferibile e per farlo usa come argomentazione le regole che ci sono oggi.
(edited)
2021-01-22 09:07:22
ah, un'altra annotazione: nell'articolo pare che si dia per scontato che l'attività di filtro debba essere effettuata.
Ovviamente non è così.