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Subject: Cosa state ascoltando?
infatti la cosa che mi ha sempre stupito di più dei Genesis è che fossero dei ragazzini... incredibile
qui si vede bene
tra l'altro Belgio e, soprattutto, Italia ebbero una certa importanza per loro:
eccoli al Piper
e al Palasport di Napoli accolti da un "simpatico": Peter si nu ricchiò. Vestiva strano in effetti
p.s.
Can you tell me where my country lies?
allora... ecco... rivedo le mie posizioni sulla pena capitale per i secondi necessari ad incenerire costui
ammenda
(edited)
tra l'altro Belgio e, soprattutto, Italia ebbero una certa importanza per loro:
eccoli al Piper
e al Palasport di Napoli accolti da un "simpatico": Peter si nu ricchiò. Vestiva strano in effetti
p.s.
Can you tell me where my country lies?
allora... ecco... rivedo le mie posizioni sulla pena capitale per i secondi necessari ad incenerire costui
ammenda
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ormai sono in loop con gli anni settanta... che roba però... vette oggi irraggiungibili e nemmeno concepibili
(edited)
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Adam Lambert ha una bella voce ma come si puo' provare a rimpiazzare Freddy?
Ascolto Adam e penso a Freddy, il mio cervello si rifiuta
Cazzo..
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Cinema show, Fred Astaire e Ginger Rogers che ci ballano attraverso. Meraviglia per romantici
e per rialzare la pressione una dose di Jon Lord dal Live unico e solo
(edited)
e per rialzare la pressione una dose di Jon Lord dal Live unico e solo
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I più storceranno la bocca, non sono per tutti, ma io li amo e dopo averli visti 2 estati fa in concerto non vedo l'ora che tornino in Italia, uno spettacolo
ma io li amo
il tuo nick parla chiaro :)
io da ieri sono prigioniero di questa chitarra
il tuo nick parla chiaro :)
io da ieri sono prigioniero di questa chitarra
Meraviglioso Coltrane
1961
...
Keith Jarrett nel suo giorno perfetto
1975
Non possiedo nemmeno un seme quando comincio a suonare. E' come partire da zero.
Ogni nota non è scritta su uno spartito è non è stata neanche prevista prima. Ogni nota è nel presente ed è viva
La sera del 24 gennaio del 1975, qualcosa di magico accadde all’Opera Haus di Colonia. Keith Jarrett, pianista sulla breccia da una decina d’anni scarsi, cresciuto alla corte dei Jazz Messengers di Blakey, di Charles Lloyd e di Miles Davis, da qualche anno aveva avviato una fortunata collaborazione con il produttore discografico tedesco Manfred Eicher (fondatore della storica etichetta ECM). Nel 1973 egli aveva inaugurato una serie di concerti (Brema e Losanna) durante i quali egli affrontava il pianoforte completamente alla cieca, senza l’ausilio di alcun supporto, in una sorta di improvvisazione totale che faceva leva non solo sulla sua esperienza nel jazz ma anche sulla sua solidissima preparazione classica (cominciò a suonare all’età di tre anni, a sette componeva già e fu allievo della Berklee School of Music).
Quella sera, Jarrett aveva chiesto che sul palco fosse portato uno Steinway, il suo pianoforte preferito, quello sul quale aveva per anni coltivato l’arte dell’improvvisazione. Qualcosa non andò nel verso giusto e lo Steinway non arrivò mai; sebbene molti dell’organizzazione cominciassero a tremare (Jarrett diventerà tristemente famoso anche per le sue sortite da primadonna), il pianista aveva chiesto che in sostituzione fosse portato uno dei due Bösendorfer che erano dietro le quinte, dopo averli provati. Ma quella sera era nata per essere speciale e, colmo di sfortuna, per un disguido, sul palco fu invece portato l’altro Bösendorfer. Tutti, Eicher compreso, erano a un passo dal gettare la spugna; ma non Jarrett che intravide in quella avversità uno stimolo in più per poter fare qualcosa di eccezionale. Con molto ritardo, il concerto ebbe inizio.
Le prime note sono di attesa, come se Jarrett e il Bösedorfer fossero due belve che si stessero studiando, occhi negli occhi. Il suono del pianoforte era qualcosa che andava aldilà delle più nere previsioni; sembrava uscire da uno strumento da barrell house (pare che non fosse stato nemmeno revisionato!) e non da un gran coda da concerto. Gli acuti erano al limite dello stridore e i bassi al limite della sordità; davvero, chiunque avrebbe chiuso il coperchio e salutato il pubblico!
I primi minuti sono la reale descrizione di una suspense vissuta in diretta, ma poi Jarrett si getta a capofitto in quest’avventura che, nel bene e nel male, segnerà il panismo jazz e new age dei successivi 20 anni.
da...http://www.ondarock.it/recensioni/1975_KEITHJARRETT.htm
(edited)
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1961
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Keith Jarrett nel suo giorno perfetto
1975
Non possiedo nemmeno un seme quando comincio a suonare. E' come partire da zero.
Ogni nota non è scritta su uno spartito è non è stata neanche prevista prima. Ogni nota è nel presente ed è viva
La sera del 24 gennaio del 1975, qualcosa di magico accadde all’Opera Haus di Colonia. Keith Jarrett, pianista sulla breccia da una decina d’anni scarsi, cresciuto alla corte dei Jazz Messengers di Blakey, di Charles Lloyd e di Miles Davis, da qualche anno aveva avviato una fortunata collaborazione con il produttore discografico tedesco Manfred Eicher (fondatore della storica etichetta ECM). Nel 1973 egli aveva inaugurato una serie di concerti (Brema e Losanna) durante i quali egli affrontava il pianoforte completamente alla cieca, senza l’ausilio di alcun supporto, in una sorta di improvvisazione totale che faceva leva non solo sulla sua esperienza nel jazz ma anche sulla sua solidissima preparazione classica (cominciò a suonare all’età di tre anni, a sette componeva già e fu allievo della Berklee School of Music).
Quella sera, Jarrett aveva chiesto che sul palco fosse portato uno Steinway, il suo pianoforte preferito, quello sul quale aveva per anni coltivato l’arte dell’improvvisazione. Qualcosa non andò nel verso giusto e lo Steinway non arrivò mai; sebbene molti dell’organizzazione cominciassero a tremare (Jarrett diventerà tristemente famoso anche per le sue sortite da primadonna), il pianista aveva chiesto che in sostituzione fosse portato uno dei due Bösendorfer che erano dietro le quinte, dopo averli provati. Ma quella sera era nata per essere speciale e, colmo di sfortuna, per un disguido, sul palco fu invece portato l’altro Bösendorfer. Tutti, Eicher compreso, erano a un passo dal gettare la spugna; ma non Jarrett che intravide in quella avversità uno stimolo in più per poter fare qualcosa di eccezionale. Con molto ritardo, il concerto ebbe inizio.
Le prime note sono di attesa, come se Jarrett e il Bösedorfer fossero due belve che si stessero studiando, occhi negli occhi. Il suono del pianoforte era qualcosa che andava aldilà delle più nere previsioni; sembrava uscire da uno strumento da barrell house (pare che non fosse stato nemmeno revisionato!) e non da un gran coda da concerto. Gli acuti erano al limite dello stridore e i bassi al limite della sordità; davvero, chiunque avrebbe chiuso il coperchio e salutato il pubblico!
I primi minuti sono la reale descrizione di una suspense vissuta in diretta, ma poi Jarrett si getta a capofitto in quest’avventura che, nel bene e nel male, segnerà il panismo jazz e new age dei successivi 20 anni.
da...http://www.ondarock.it/recensioni/1975_KEITHJARRETT.htm
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